Division by zero
Roberto Zappalà
a cura di Alessandra Ferlito
19 dicembre 2009 - 15 gennaio 2010
Da sempre attento all’intero apparato scenico delle sue creazioni, figlio di una “scuola” che accetta ben volentieri l’osmosi tra i diversi linguaggi del contemporaneo, Roberto Zappalà, in occasione dei primi vent’anni di attività della compagnia che dirige, si sperimenta nel campo delle arti visive. E lo fa presentando tre installazioni che sintetizzano e – in parte – raccontano il suo percorso di ricerca, artistica quanto individuale. Rivisitate e rese indipendenti attraverso un’operazione di ri-contestualizzazione, le opere in mostra nascondono un forte legame con le creazioni precedenti. Al contrario di quanto accade nelle arti performative, però, in questa occasione è proprio l’elemento principe che viene a mancare. Quel corpo “incompiuto” e in continua evoluzione; quel corpo tanto indagato nelle sue sorprendenti potenzialità, nelle sue relazioni con il tempo e con lo spazio, si fa – qui – da parte per lasciare che gli oggetti – muti, immobili, inanimati – diventino, per la prima volta, i protagonisti assoluti della scena.
Roberto Zappalà, del resto, ha sempre affidato un ruolo molto importante agli oggetti di scena, accuratamente scelti e utilizzati per creare rimandi concreti alla realtà e alle tematiche, di volta in volta, affrontate. In questa ottica, il processo che ha portato l’autore a formulare questo progetto espositivo sembra essere maturato, nel corso degli anni, in maniera del tutto naturale e sembra ricalcare esattamente la sua idea di architettura scenica come opera totale. Ciononostante, si è incerti nello stabilire se si tratti di un punto di approdo piuttosto che di una nuova apertura. Di certo, Division by zerorappresenta un momento cruciale della ricerca di Zappalà, che accosta all’originario interesse – più volte dichiarato – per la dimensione pop(ular), nuove pratiche di approccio ai mezzi – multimediali – della società e dell’arte contemporanea.
L’evento vuole essere, insieme, una conferma (nei confronti di una metodologia d’indagine in continua evoluzione) e una smentita (rispetto ad un sistema di certezze predeterminate, assunte, incontestate). Come è stato negli ultimi venti anni di attività nelle arti performative, anche qui l’obiettivo, primo e ultimo, dell’autore è quello di “mettere in scena una drammaturgia degli stati emozionali” e di innescare una riflessione critica nei confronti di fenomeni ed eventi, passati e contemporanei. Nello specifico, il progetto medita sul concetto di eroismo nelle sue diverse accezioni. Il titolo della mostra, poi, è mutuato dal mondo scientifico. Se, tuttavia, in matematica l’espressione “division by zero” (divisione per zero) indica una operazione dal risultato inesistente, qui essa diventa sinonimo di indeterminatezza ed evanescenza.
Già a partire da queste premesse, la matrice del progetto appare ambigua e intricata; mescola ordine formale (aspetto legato all’esperienza e allo studio del movimento nella danza) e “astrazione” concettuale. La paranoia della numerazione, della moltiplicazione, della ripetizione ossessiva delle cose – come dei gesti nella danza – è neutralizzata da un equilibrio sotterraneo, regolato da rapporti matematici tra gli oggetti e gli spazi utilizzati. Questo vale, in particolare, per Eroe #1 e Eroe #2. Nel primo caso un tappeto ordinato di scarpe invade e disegna, in tre moduli uguali, il pavimento; nel secondo, una lunga quinta di reggiseni bianchi divide (trasversalmente) lo spazio in due parti uguali. Geometrie a parte, entrambe le installazioni rivolgono sommessamente lo sguardo verso ciò che non è (più) presente, che non è visibile, eppure è percettibile. L’assenza dei corpi che, un tempo, hanno indossato gli oggetti delle installazioni, eleva gli oggetti stessi a simbolo di un “eroismo evanescente” (come lo definisce Zappalà). Ed è qui che si inserisce la questione dell’impossibilità di definire l’eroismo in maniera univoca e universale. Con Eroe #3, poi, il concetto di evanescenza viene chiarificato in termini fisici. Anche l’oggetto d’uso comune sparisce e cede il posto alla materia pura. In questo caso all’acqua: elemento primo di tutte le forme di vita conosciute ed emblema della trasformazione continua. L’utilizzo dell’acqua, di fatto, è strettamente connesso alla filosofia che sta alla base di questo progetto. L’essere umano, nella maggior parte dei casi, assume dimensione eroica nel momento della sua scomparsa fisica, continuando a vivere come presenza mnemonica. Nell’opera, il ghiaccio si scioglie e diventa acqua che, poi, evapora. E proprio dove il processo sembra – così – concludersi, Roberto Zappalà pone l’inizio di una nuova interrogazione. Ogni singola goccia d’acqua, prima di svanire nell’evaporazione, batte sul suolo producendo un suono che rimbomba come l’eco della memoria, individuale e collettiva. Ciò che è invisibile, impalpabile, immateriale, diventa – prepotentemente – materia concreta e tangibili.
Alessandra Ferlito