L'ombra della Casa Celeste
Sator (Salvatore Vitagliano)
a cura di Gianluca Collica
11 settembre 2021 - 14 novembre 2021
“Ciao Salvatore!” e di rimando “Ehi Gianluca come stai?”.
Avevo cambiato numero telefonico, non lo sentivo da 20 anni… Come ha fatto a riconoscermi? Così dopo qualche giorno volai a Napoli e mi immersi nel mondo di quel fratello maggiore che mio padre invitava ogni anno a trascorrere l’estate in montagna nella Piccola Sila.
Un talento dalla pittura straordinaria e densa quanto ancora oggi ignota ai più. Di queste storie se ne raccontano tante e sicuramente ben più conosciute, tuttavia nella mia esperienza raramente mi sono imbattuto in un artista che ha marcato il mio giudizio quanto questo sempre verde 70enne apparentemente gracile nell’aspetto, ma forte nell’animo al punto da rifiutare qualsiasi scorciatoia pur di rimanere fedele alla propria visione.
“Per capire un’opera contemporanea devi conoscere il secolo in cui vivi, ma poiché nulla nasce dal nulla, per capire bene questo secolo, bisogna conoscere anche quello precedente, ma per capire il precedente bisogna conoscere quello che ancora lo precede e così via. Dopo aver attraversato e conosciuto tutti i secoli che la storia ci ha dato conoscere, per capirne di più, non resta che indagare nel mondo dei primitivi e in quello dei pazzi. Unite ora tutto questo sapere in un crogiuolo, mettete al fuoco e girate, girate, girate; indi versate, poi osservate, scrutate, ascoltate e…da qui iniziate”.
(Salvatore Vitagliano, “A ritroso”)
Un breve testo che rende l’idea del percorso di questo artista la cui pittura transita la storia e si proietta nel contemporaneo con una disinvoltura a volte sorprendente allorché le sue superfici dipinte svelano tracce antiche immerse nella materia o velate da segni più agili di cui questo linguaggio si è arricchito nel presente.
Guardare un suo dipinto non è mai scontato, rivelando nel tempo dello sguardo, particolari di un fare sapiente nel celare e preservare la propria storia.
L’ombra della casa celeste è una trasposizione in chiave onirica di un’opera molto più grande a cui stà ancora lavorando nel suo atelier nella Valle Caudin da cui prende nome il titolo della mostra dedicata all’artista campano presso fondazione Brodbeck di Catania.
Un’opera che sintetizza il suo universo pittorico e privato. Un grande libro dal quale come per un big bang si manifesta un cosmo bipolare in cui pittura e narrazione rimbalzano tra loro come, egualmente, la percezione si muove tra oggettività e idea.
Nell’opera tutto è indefinito: lo spazio, il tempo, il racconto. Come sospeso in una dimensione isolata in un immaginario magico, i cui enigmi si svelano grazie ad un algoritmo il cui sviluppo diviene sempre più complesso e ricco quanto più aumenta l’empatia e l’attenzione per il dipinto.
Quando entri nella sua vita vieni risucchiato nel suo mondo sia per quanto scopri nelle sue opere, quanto per ciò che Sator (Salvatore Vitagliano) scruta in te. Come un archeologo ricerca i suoi soggetti scavando nel profondo e denudandone l’anima, ritrae quanto di più intimo siamo, quanto di più vero esiste nel mondo.
La collezione di figure presenti in mostra, come icone votive, manifestano una pittura risolta dopo lunga e intensa riflessine su sé stessa e sul
soggetto. Sguardi intensi vivono in una texture schizofrenica a primo sguardo, ma che lentamente appare razionale e colta, equilibrata nelle sue parti, in un crescendo di attenzione, che trasforma la superficie in una composizione armonica e pulsante.
Pulsante è forse un aggettivo che aiuta a comprendere il suo linguaggio che affonda le radici nella necessità dei primitivi di esprimere sentimenti di orgoglio e appartenenza, nell’immagine trascendente del mondo classico, nella astrazione soprannaturale bizantina, nella cosciente umanità rinascimentale, nella metafisica dechirichiana, nel potere espressivo del colore fauves, nella gestalt tedesca, e in quanto di apparentemente irrazionale sta in quota ai vari ismi nei secoli. Ma guarda al passato senza compiacersene, anzi con esso pare che ingaggi un duello alla ricerca di un gesto nuovo e se mai irrisolto, piuttosto che scontato.
Meglio tentare che rimanere stregato dentro le lusinghe di una scuola.
Icona Mistica è l’altro dipinto di grandi dimensioni presente in mostra, un’opera che l’artista ha più volte esposto nel corso degli anni. Fondamentale per comprendere nella sua interezza la poetica di Sator, che va investigata accettando la sua monastica attitudine nel ricercare i principi alla base dell’esistere. La “via” a ritroso che riconduce all’essenza dell’universo. Questo processo proprio del pensiero taoista consente di ripercorrere le azioni successive ad un “principio”. Dipingere per scalare quell’impervia strada che porta all’essenza della pittura dove la stessa si sovrappone perfettamente all’atto dell’artista.
Simboli e colore appaiono come struttura in cui è incastonata una miniatura di straordinaria fattura e intensità espressiva. il tutto è parte di una composizione dinamica immersa in un profondo bleu, dominante, inquieto e al tempo stesso rassicurante.
Le ciotole votive, piccola scultura ai piedi del grande dipinto, sembrano evocare la coscienza dell’artista, consapevole della sua piccolezza al cospetto di una pratica pittorica che nei millenni rimane tanto misteriosa quanto magicamente presente.
I suoi dipinti non sono mai conclusi, tanto che una serie dei lavori presenti in mostra sono stati dipinti su opere da lui realizzate negli anni ’70 che io custodivo nella mia collezione. Una figurazione surreale, forse un po’ troppo compiaciuta, lavori giovanili. Vedendo il superbo risultato di questo lifting credo di aver compreso la ragione di questa azione: per Sator la pittura è la soluzione di un enigma irrisolvibile, tentare di fissare un modello è inutile se vuoi essere parte del divenire, parte della vita e, come per tutto, cambiare sta nella logica delle cose, è l’azione che ci consente di osare oltre la nostra conoscenza e approssimarsi il più possibile alla verità.